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O capitano! Mio capitano!

  • Immagine del redattore: Selene Zanetti
    Selene Zanetti
  • 9 ott
  • Tempo di lettura: 4 min

Nel 1865 Walt Whitman scriveva un poema in onore di Abramo Lincoln palesando la propria devozione verso quest’uomo appena assassinato.


Nel 2025 Selene Zanetti si ritrovava ad assistere da spettatrice alle prove di un concerto sinfonico in un teatro a lei sconosciuto e improvvisamente si rendeva conto di qualcosa che non andava.


(Fine della parte in terza persona)


Questo qualcosa che mi creava il suddetto senso di scomodità emotiva, parlava la lingua silenziosa conosciuta molto bene da chi lavora in un teatro: quella dell’insoddisfazione e del malcontento.

Da questa situazione e soprattutto da quello che un teatro a me estremamente caro sta passando (e sí, mi sto riferendo a quell'animale che Da Ponte paragona alla "fede delle femmine... che ci sia ciascun lo dice, dove sia nessun lo sa"), mi sono domandata quanto effettivamente la figura di un leader, un capitano appunto, sia importante non tanto nella riuscita di un’esecuzione musicale -cosa fondamentale ovviamente-, ma soprattutto nel benessere di un gruppo.


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Pensavo a quanto sia difficile dover seguire qualcuno in cui non si crede e per il quale non si nutre la minima fiducia.

Pensavo a come il lordume del dubbio e del sospetto nei confronti di chi riveste una posizione più in alto rispetto a dei “semplici” musicisti, possa infondere un tremendo senso di demoralizzazione e di inutilità verso quello che si deve -e non più “vuole”- fare.


Whitman parla di come il suo capitano sia riuscito, sacrificando la sua vita, a riportare la nave salva e vittoriosa nel porto.

Ora, non dico che un leader -per lo meno nel campo artistico musicale- debba offrire il proprio sangue alla causa, però credo che il supporto da parte dei “sottoposti” sia veramente il fondamento di tutto.


Che cosa rende, quindi, un leader, un Leader, uno Chef, un Boss, un Direttore, un Capo?


Eccoti la lista che ti ho stilato qualora ambissi alle alte sfere.


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Prima di tutto devi avere una visione cioè non solo devi sapere dove andare, ma devi anche saper mostrare la via agli altri e, calandola in un momento storico, devi essere in grado di guardare oltre il presente, immaginare il futuro e mostrare il panorama a chi non ci riesce ancora.


Poi devi saper comunicare… usando i congiuntivi correttamente e possibilmente la lingua dell’interlocutore.

Non si può vedere un direttore d’orchestra (parlando del mio caso) che non sappia parlare un buon inglese. Perlomeno l’inglese!!!

Ricordati che le buone idee che non riescono ad essere comunicate, non saranno mai idee buone.


Secondo punto: devi saper ascoltare.

Chi non sa ascoltare, non sa comunicare e senza dialogo non c’é crescita.

E chi non sa ascoltare passa sempre per arrogante e presuntuoso.

Se non sei dotato di questo grandissimo e indispensabile dono, imparalo.

Acquisiscilo.

Se non ci riesci, fingi.


Terzo e delicatissimo punto: la capacità decisionale.

Devi essere in grado di prendere decisioni, anche difficili, senza rimandare o farti paralizzare dai dubbi.

Agisci con determinazione dopo aver valutato pro e contro e non farti sopraffare dall’ansia della responsabilità di tutta la combriccola che ti porti sul groppone e sii pronto al fatto che le vagonate di merde ricadranno sempre e solo su di te.


Quarto comandamento: Sii empatico.

(Secondo me dovrebbe essere aggiunto ai famosi Dieci. Ce n’é sicuramente più bisogno del sesto. Ops.)

Nonostante il podio ponga una sola persona al di sopra di tutte le altre, la musica si fa sempre insieme e saper comprendere le finezze dell’animo umano é quello che rende un esecutore, un musicista.

Sii empatico.


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Quinto punto: adattabilità.

Il mondo cambia ad una velocità disarmante e con esso cambiano anche le sfide.

Adattabilitá fa rima con flessibilità (e intelligenza!); è quel superpotere che ti permette di essere pronto a rivedere le tue strategie e ad affrontare imprevisti senza perdere d’occhio la meta.

Posso dire una cosa? Mi pare che questa cosa appartenga soprattutto alle nuove leve.

L’ho notato proprio negli ultimi anni: più i direttori sono giovani e più sono aperti al dialogo, sono meno dispotici e più disposti a “fare insieme”.

E non credo si tratti di timore o di ansia da prestazione o di accondiscendenza.

Voglio davvero credere nelle nuove generazioni, quelle che vedono la musica come la cosa più bella e luminosa che sia mai stata inventata e non come il dovere sacrosanto di non offendere le anime defunte di vecchi compositori o direttori.

Se mi turba che sul podio ci sia uno più giovane di me?!

Absolutely not!


Ultimo caposaldo di questa breve lista.

Numero Sei: capacità di ispirare.

E questa, Signore e Signori, é la vera forza.

E non parlo del professor John Keating di Dead Poets Society (se non sai di cosa sto parlando, non sei mai stato ispirato adeguatamente da un film. Vallo a vedere!), parlo di esempi.

Riuscire a ispirare tramite la propria coerenza, integrità e passione sono i migliori strumenti -appunto- per guadagnare fiducia, rispetto e amore eterno.


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Lo so che sto parlando di direttori d'orchestra un po’ troppo, ma prometto che la settimana prossima torno con la Divina e unica Maria Callas, la sua norma da 1 quintale di puro fascino.


Intanto lasciatevi ispirare!



S.


 
 
 

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