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Cerchi, non parabole!

  • Immagine del redattore: Selene Zanetti
    Selene Zanetti
  • 2 giorni fa
  • Tempo di lettura: 5 min

Nella vita capita che a un certo punto ci si interroghi sul perchè certe cose inizino ad assumere un aspetto complesso e inedito, al quale non siamo in grado di dare una spiegazione immediata, concreta, ma soprattutto soddisfacente.

Oggi vorrei scrivere di un argomento molto delicato che riguarda la mia persona, la mia carriera, la mia crescita, le mie paure, le mie impressioni ed emozioni di questi ultimi mesi, quindi vi chiedo comprensione, compassione (nel senso greco del termine cioè quello che prevede la totale immedesimazione nel mio “sentire”), assenza totale di giudizio e pazienza.


[Disclaimer 1: non è mia intenzione rendere questo racconto un piagnisteo insostenibile, né tantomeno una patetica richiesta di comprensione. Ecco.]


Negli ultimi mesi mi sono ritrovata a riflettere e a pormi tante domande.

Ho avuto un periodo di ferma, una specie di battuta di arresto dovuta all’età e a quel famoso passaggio, quel salto di repertorio che ogni cantante prima o poi deve affrontare; il “problema”, però, non è stata tanto la sequenza di certi eventi, quanto piuttosto quello che si è creato nel mio cervello come conseguenza a questi avvenimenti.

In aggiunta a tutto ciò, per la prima volta nella mia carriera, mi sono ritrovata ad aver paura di salire su un palcoscenico, a sentire di aver perso la fiducia nelle mie capacità, nella mia tecnica, nel mio corpo, a temere il giudizio del pubblico, a temere il pubblico.

Mi sono rivolta a tutte quelle figure professionali che ritenevo mi sarebbero state d’aiuto poichè, essendo io una persona estremamente pragmatica quando si tratta di difficoltà ed ostacoli (mi piace pensare che la mia “veneticità” c’entri qualcosa), la situazione stava iniziando a sfuggirmi di mano… e di testa!!!

Ho affrontato il tema con la mia psicologa, con la mia insegnante, con la mia psicologa della musica (figura rivelatasi chiave nello sbroglio di questo nodo gordiano - la consiglio vivamente a tutti i miei colleghi musicisti, si chiama Silvia Bontempi, la trovate su Instagram), vari professionisti nell’ambito sanitario e, non di meno, il mio adorato compagno e la mia splendida famiglia.

Amici? No.

Colleghi? No.

[Ma questo è un altro discorso che forse un giorno affronterò. Forse.]



Appurato che l’apparato fonatorio stava e sta benone e che il fisico, dopo aver perso 15 kg, sta meglio di prima [e si spera stia meglio di prima anche per taluni sovrintendenti e direttori artistici… altro argomento che forse un giorno tratterò. Forse.], non mi è rimasto che scandagliare quell’immenso, sconfinato e buissimo mare magnum che sono il mio cervello e il mio tanto odiato e amato inconscio.

Ed ecco l’errore madornale.

MADORNALE!!!


Prendetevi un attimo per recuperare la concentrazione persa durante questo noiosissimo e fin troppo prolisso sproloquio anamnestico, perchè sto per farvi vivere un’esperienza epifanica di indiscutibile valore metafisico, ma soprattutto economico (…con tutto quello che ho speso in sessioni di analisi per questa immersione oceanica alla Jules Verne offertavi al solo prezzo di una lettura di qualche minuto, dovreste essermi riconoscenti a vita!!!).


[Disclaimer 2: avrete capito che mi piacciono le parole e far divertire con esse, ma mai e poi mai mi permetterei di sostituirmi a tutte quelle figure professionali che mi hanno aiutata. Non offro soluzioni, bensì spunti di riflessione e contatti Instagram).


EBBENE.

Ecco l’errore madornale: scandagliare corpo e mente in maniera separata.

Ecco l’epifania: queste due sono collegate. Coniugate. Sovrapposte. Incollate. Inseparabili. Connesse. Unite. Legate. Associate. Appiccicate. Saldate con fiamma ossidrica.




In questi mesi di angoscia, prima, e ricerca, poi, ho fatto un viaggio nel sentimenti.

Niente Temptation Island, ma un ritorno al mio passato con una DeLorean scassatina puntata non al futuro, ma al mio periodo di formazione, ai primi concertini/marchettine, ai concorsi, alle inaspettate scoperte di quanto avessi da offrire.

In questo viaggio mi sono costretta non solo al ricordo psichico, ma anche a quello fisico.

Mi sono immedesimata nelle sensazioni fisiche che il cantare mi dava e ho scoperto che attraverso espedienti fisici quali interpretazione, micro-movimenti di rinforzo (muovevo le dita delle mani in un modo strano… l’ho scoperto riguardando dei vecchissimi video) e altri escamotage che coinvolgevano il corpo al 100%, riuscivo a colmare quelle che all’epoca erano ragionevolissime lacune tecniche (e fisiche).

In poche parole, all’inizio della mia carriera usavo naturalmente - e istintivamente - il corpo come risorsa: era spontaneo, vivo, autentico.

Con il tempo e con la crescita tecnica, questa spontaneità si è ridotta lasciando spazio alla razionalità, alla “matematica” e meno all’ascolto corporeo.

Senza esagerare, mi ritrovo tristemente ad ammettere di aver anche cercato di diventare quel tipo di cantante che calcola tutto, ogni passaggio, ogni intenzione, ogni respiro, ogni dettaglio, nella ricerca di quella sicurezza che su un palcoscenico non si avrà mai perché la spontaneità non è controllabile.

Ed esser spontanei significa essere autentici.


Non è stato uno sbaglio, ma un movimento naturale che ora ha bisogno di essere riletto.

Le paure di questi mesi non sono state altro che il messaggio di richiesta al tornare indietro.

Indietro verso me stessa.


Ed ecco la spiegazione del titolo.

Penso ad una parlabola: crescita significa in qualche modo allontanarsi da sè stessi. Ed è una cosa bellissima.

Le parabole crescono: partono da un punto, io, tu, chiunque, e attraverso un percorso crescono puntando sempre più in alto.

Il problema è che, però, ad un certo punto, se non si ritorna indietro, la parabola comincia a scendere… è la sua natura di parabola!

È un po’ quello he mi è successo nell’ultimo periodo: l’ascesa continua senza un ritorno verso il mio nucleo autentico ha creato la sofferta distanza tra me e il mio corpo.

E più mi sono allontanata da quel punto di partenza autentico, da quella piccola cantante in erba piena di entusiasmo e gioia e luce, più il mio senso di smarrimento è diventato profondo.

Mi sono allontanata da me.


Così ho iniziato a pensare a un cerchio e quindi alla necessaria ciclicità di un processo di crescita: si sale, si impara, si evolve, ma poi BISOGNA tornare al proprio centro e integrare a sé quello che si è imparato.

E questo lo si fa tornando al corpo.


Ecco le domande da un milione di… bagigi.

[Io me le sono posta come artista, ma chiunque pensi di aver perso un po’ la bussola può provare a rispondere e quindi a cercare di avvicinarsi a quello che rende giustizia alla sua autenticità]

  • Qual era la sensazione che il mio corpo mi ha offerto quando ho iniziato il mio percorso?

  • In che modo il mio corpo mi ha aiutata quando la tecnica non era sviluppata/quando le mie conoscenze non erano avanzate come lo sono ora?

  • Cosa esprimevo prima e che invece ora penso di aver perso/attenuato?

  • Quale parte di me vorrei recuperare oggi?


Oggi, quando penso all’inizio della mia carriera, provo a sentire che cosa mi stia chiedendo quella giovane cantante che si emozionava come una bambina davanti ad un vaso di caramelle (…in realtà sarebbe più realistico un panino al salame, ma ho comunque reso l’idea, no?!) e che cosa mi stia dicendo.

E mi rivolgo a lei come mi rivolgo a tutti quei frammenti di me che hanno bisogno di essere ascoltati e che troppo spesso trascuro, metto a tacere o, peggio, in castigo perchè “non sta bene” essere troppo autentici.



Ecco.

Finto. E anche oggi la mia buona azione l’ho fatta.

Mi ringrazierete tra qualche settimana… il processo ha bisogno di tempo, ma funziona.


Siate cerchi, non parabole e tutto andrà sempre meglio.


Baci

 
 
 

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